Basta aspettare Godot!
di Raffaella Imbrìaco
Mi ritrovo sempre più spesso a riflettere sulla condizione umana e proprio in una delle mie più recenti elucubrazioni, certamente determinata dalla tristezza per il clamore mediatico a cui è sottoposta negli ultimi tempi la mia regione, la Calabria , sono arrivata alla conclusione che tutti gli uomini trascorrono buona parte della loro vita in attesa di qualcosa. Trattasi senza dubbio di una naturale e continua aspettativa riferita ad eventi spesso convenzionali o comunque fondamentali che inequivocabilmente caratterizzano le stagioni dell’esistenza. Si attendono con ansia le feste comandate, il passaggio delle stagioni, il primo lavoro e poi il momento del pensionamento, le sospirate vacanze e il giorno in cui si riprenderà a lavorare, il momento del diploma o della laurea, l’amore della vita , la guarigione da una malattia e in alcuni casi anche la morte. Forse è proprio questa tensione verso il futuro, questa spasmodica ricerca di qualunque cosa sia collegata ad un cambiamento, che ci aiuta a superare il presente e a proiettarci verso il futuro. Nonostante la tematica sia stata ampiamente dibattuta da filosofi e da grandissimi letterati in tutte le epoche storiche, le mie considerazioni mi hanno immediatamente fatto venire in mente quel capolavoro del teatro dell’assurdo scritto da Samuel Beckett nel 1954, dal titolo Aspettando Godot. Quest’opera illuminante contiene la metafora della fragile condizione umana, in cui tutti i protagonisti vivono nell’attesa di un fantomatico personaggio che non arriverà mai. Già nell’antichità del resto, la cultura popolare da sempre fonte di saggezza, cristallizzava in un idioma molto conosciuto lo stesso concetto contenuto nell’espressione chi di speranza vive , disperato muore. I nostri avi in sostanza avevano compreso che la vita non può essere vissuta soltanto confidando in una aspettativa nel futuro, ma che il futuro stesso, in qualche modo, deve essere costruito attraverso l’impegno personale di ciascuno, giorno dopo giorno. E’ pur vero altresì che molto di ciò che accade nella storia personale di ognuno non dipende sempre dalla propria volontà ma da una serie di concause spesso legate al caso. Casualmente si può nascere a Manhattan e vivere una esistenza bella e agiata oppure in una favelas di Rio de Janeiro affrontando quotidianamente i problemi della sopravvivenza. Così come si può nascere e vivere in una località del progredito Nord Italia, in un contesto sociale e culturale ricco di stimoli e di opportunità dove tutto funziona alla perfezione o nascere e vivere in Calabria, in luoghi baciati da Dio ma maltrattati dall’uomo, nei quali la bellezza del territorio e un clima meraviglioso non sono sufficienti a colmare le enormi falle di un sistema politico e sociale in perenne affanno. Luoghi in cui si sopravvive invece che vivere perchè quel poco che funziona sembra scaturire da un miracolo divino, dove tutto quello che si riesce a fare in qualunque campo esso avvenga, è molto più difficile che in altri posti. Luoghi che anche se non sembra, mostrano velatamente la presenza della criminalità organizzata, del malaffare e della corruzione che ribadiscono qualora ce ne fosse la necessità, chi è chi comanda in quei territori. Luoghi in cui si fa fatica ad arrivare a fine mese per mancanza di un lavoro ma dove le fatiscenti periferie pullulano di auto di lusso, dove molti giovani per poter studiare devono affrontare i disagi del pendolarismo, luoghi dove se piove le strade si trasformano in piscine a cielo aperto nelle quali navigano cumuli di immondizia. Luoghi dove la politica ha spesso operato poco e male, dove il figlio di Tizio e di Caio ha trovato il posto di lavoro senza tanti sacrifici alla faccia del poveretto che non ha santi in paradiso, dove per fare una ecografia a spese del servizio sanitario nazionale, può trascorrere anche un anno di attesa. Luoghi in cui le connivenze e le infiltrazioni mafiose vanno da decenni a braccetto con una certa politica, dove ai cittadini non interessa più sapere chi vincerà le elezioni e che cosa succederà nella propria città .Luoghi in cui imperversa una sorta di amara rassegnazione che abbraccia interi strati della popolazione, dove nonostante la gente perbene sia di gran lunga superiore a quella collusa e corrotta, si è esposti tutti ,indistintamente, al giudizio dei “virtuosi” che puntano il dito senza fare alcun distinguo.
In luoghi così non è facile uscire da una condizione di sudditanza psicologica che molto spesso sfocia anche nell’autoconvincimento delle proprie incapacità , complice una comunicazione faziosa, che si diverte a gettare in uno stesso calderone buoni e cattivi, onesti e delinquenti. Luoghi dove è però pregnante la presenza dell’associazionismo nel campo sociale, culturale, economico, dove nascono e circolano nuove idee , sorgono nuove istanze di legalità e di imprenditorialità, dove la scuola spesso assurge a livelli di eccellenza nazionale, perché in quei luoghi difficili di persone capaci e volenterose ce ne sono a migliaia che vorrebbero vedere questa terra diversa, perché le potenzialità ci sono e sono tante… In questi luoghi pertanto non è più tollerabile sopportare di essere considerati come abitanti del terzo mondo. In luoghi così dove bisogna spesso lottare anche per il riconoscimento di ogni singolo diritto, si può nascere per caso o per scelta ben ponderata, ma nessuno, dico nessuno, può permettersi di pontificare e di denigrare i suoi abitanti utilizzando i consueti clichè e gli stereotipi classici che ridicolizzano un intero popolo per un accento troppo marcato o per una cadenza dialettale particolarmente accentuata. Occorre smetterla di pensare che quei luoghi siano rimasti 50 anni indietro, così come appaiono in spot dal sapore folkloristico nei quali uomini e donne indossano coppole e scialletti e si cibano prevalentemente di arance e bergamotti , ingurgitando quantità incredibili di ‘nduia ad ogni pasto. E occorre più di ogni altra cosa pensare che questi luoghi di bellezza inestimabile e di terra altamente produttiva, furono scelti dagli antichi Greci per fondarvi le loro Colonie e rappresentarono per millenni espressioni altissime di civiltà e di cultura . In questi luoghi io ho scelto di viverci e di rimanervi per sempre, dopo aver trascorso diversi anni nel progredito e organizzato Nord Italia. Ho deciso che la mia vita l’avrei trascorsa qui pur sapendo che sarebbe stata più complicata ma anche più ricca di soddisfazioni, perché un atavico ed inspiegabile sentimento di appartenenza mi lega indissolubilmente a questa terra bellissima e disperata. Nel mio piccolo ho rinunciato ad Aspettare Godot, cercando nelle azioni quotidiane di essere l’artefice del mio cambiamento. Sarebbe bellissimo credo,se tutti decidessimo di credere nell’oggi e di agire personalmente per il bene comune, senza aspettare che il domani ci porti miracolosamente qualcosa di buono…