Aspettando il 25 novembre
Giornata internazionale contro la violenza sulle Donne
E’ tardi, ma io ancora sto navigando in rete alla ricerca di materiale utile per realizzare un lavoro di approfondimento con i miei studenti, sul tema della violenza contro le donne. Guardando sul web, mi imbatto nella recente analisi dell’ISTAT sui dati contenuti nel dataset del numero verde 1522, istituito dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020. I risultati sono davvero sconcertanti.
Il numero delle chiamate per uscire dalla violenza, sia telefoniche sia via chat , nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020 è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%), passando da 6.956 a 15.280. La crescita delle richieste di aiuto tramite chat è quintuplicata . In sostanza , in emergenza Covid, la violenza sulle donne non solo non si è interrotta, ma addirittura è di molto aumentata.
Tra qualche giorno sarà il 25 novembre e ricorrerà il 21 esimo anniversario della Giornata Universale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’ONU con risoluzione n.54/134 del 17 dicembre 1999. Data scelta in ricordo delle sorelle Mirabal brutalmente assassinate nella Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960, per essersi opposte alla dittatura di Rafael Leònidas Trujillo. Da allora , nonostante i cambiamenti socio-culturali, demografici, etnografici e geografici avvenuti nel mondo siano stati tanti, non è possibile affermare con altrettanta sicurezza, che la lotta universalmente intrapresa contro ogni forma di violenza contro le donne, abbia raggiunto livelli tali da far pensare che l’odioso fenomeno possa considerarsi sulla strada dell’estinzione. La realtà purtroppo non è incoraggiante, anche se, in questi due decenni trascorsi da quel 25 novembre del 1999, notevoli passi avanti sono stati fatti in molti Stati.
La soluzione dell’annoso e grave fenomeno della violenza alle donne, sul quale miriadi di studiosi di scienze giuridiche ed umane si interrogano alacremente, richiederebbe ab origine una basilare operazione culturale -educativa incentrata sul rispetto dell’altro, che dovrebbe essere connaturata all’esistenza di ciascun essere umano. Quel rispetto declinato in una molteplicità di diritti umani, il primo dei quali è certamente il diritto alla dignità, si coniuga poi nel diritto alla vita, all’onore e alla reputazione, all’eguaglianza, alla manifestazione del pensiero ,al lavoro e in molti altri ancora che spesso sono stati preclusi o limitati al genere femminile. La donna, da sempre vista come la beneficiaria del meraviglioso dono della maternità e artefice della vita, sin dai tempi più antichi, ha dovuto affrontare sfide incredibilmente ardue. Spesso bistrattata, umiliata, ridotta in schiavitù fisica e psicologica , prostrata ai voleri e ai bisogni di un uomo o della propria famiglia, ha faticato moltissimo per guadagnarsi uno spazio nella società. E per quanto attraverso secoli di lotte per l’emancipazione femminile, sia finalmente riuscita ad imporsi come soggetto pensante e alternativo al modello maschile, per competenze, capacità, abilità umane e lavorative, viene ancora discriminata in molteplici contesti, spesso nell’indifferenza generale. Circoscrivendo le considerazioni alla nostra Penisola, anche la giurisprudenza che da sempre costituisce un baluardo di giustizia e di legalità, ha contribuito sovente a diffondere un modus pensandi che delinea a chiare lettere un atteggiamento discriminatorio tra i sessi, contenuto in provvedimenti di puro stampo maschilista. Ricordo che il tristemente famoso Delitto d’onore è scomparso dal nostro Codice Penale soltanto nel 1981 e che anche qualche sentenza della Suprema Corte di Cassazione non ha certamente aiutato alla diffusione di un pensiero critico a favore delle donne. Cito per fare un esempio, la sentenza n.1636 del 1999 , popolarmente ricordata come la sentenza del jeans nella quale i giudici negarono giustizia ad una giovane donna che indossava i jeans all’atto della violenza peraltro non riconosciuta dalla Corte, per via della condotta “compiacente “della giovane, in considerazione del fatto che i pantaloni non si sarebbero potuti sfilare se non con la sua compartecipazione .
Di sentenze choc ne esistono ahimè altre ancora….Mi domando allora da semplice cittadina che ritiene fondamentale il rispetto e l’attuazione del principio d’eguaglianza contenuto nelle più importanti Carte dei diritti mondiali, quali possano essere le cause di un così pregnante degrado sociale e culturale che è evidentemente alla base del rallentamento delle istanze di giustizia a favore delle donne . Il mio sguardo da docente con esperienza più che trentennale del mondo della scuola ,va alle mie alunne , che ogni tanto mi soffermo a guardare anche attraverso il web, nella freschezza dei loro sedici anni, belle, raggianti, fiduciose nel futuro. Le osservo mentre con gli occhi sognanti e pieni di speranza , si inoltrano nei sentieri della vita e penso a quello che diventeranno un domani. Penso alle difficoltà che dovranno affrontare in una società che invece che all’evoluzione tende all’involuzione. Una società che ancora discrimina per il colore della pelle, per l’orientamento sessuale, per il modo in cui ci si veste, che priva moltissime giovani del diritto allo studio, che non consente l’accesso ad una occupazione regolare e di conseguenza ad una indipendenza economica, relegando molte donne al solo ruolo di madre e di moglie, che non le protegge dalla violenza fisica e psicologica di beceri uomini senza scrupoli. E’ in questi casi che sprofondo nello sconforto e mi verrebbe da dire a quelle ragazze che si apprestano a diventare donne, che nonostante le celebrazioni, le manifestazioni, gli incontri istituzionali sul tema, non cambierà mai nulla, che il mondo è marcio e che continuerà ad esserlo, che l’uomo non ha futuro e che ogni tentativo di renderlo civile e ragionevole fallirà miserevolmente. Ma poi ci ripenso…sono troppo coscienziosa per cadere in questa trappola di tristezza e negatività e la mia responsabilità educativa di madre, prima ancora che di insegnante, mi impone di andare avanti .
Penso allora ad una donna della mia città che rappresenta un esempio lungimirante di caparbietà e di resistenza e ricomincio a vedere un filo di luce. Penso ad una donna che da circa due anni giace in un letto di ospedale ricoperta di piaghe e di ustioni causatele dal suo ex marito, nel tentativo di ucciderla. Bruciarla viva era il suo intento, forse perché in quell’atto purificatore pensava probabilmente di annientare non solo il corpo ma anche l’anima della sua ex compagna di vita. Riducendola ad un mucchietto di cenere se ne sarebbe liberato definitivamente, avrebbe cancellato per sempre dalla sua mente e dal mondo intero ogni suo ricordo e più di ogni altra cosa, la forza di quella donna. Ma così non è stato. Maria Antonietta Rositani, donna reggina forte e coraggiosa è viva, e nonostante le sofferenze che sta patendo , ha una voglia incredibile di proseguire la sua battaglia di dolore e di speranza a favore delle donne e lo fa da un letto di ospedale, riuscendo a trasmettere, nonostante tutto, messaggi di incoraggiamento a quanti la conoscono di persona e via web.
Parla con il cuore a tutte le donne e le esorta ad andare avanti, a non cedere ai soprusi e a denunciare chi le molesta, le minaccia, le vessa…. Ecco allora una testimonianza di chi ce l’ha fatta, che deve essere custodita preziosamente nell’animo di tutte le donne con la consapevolezza che il primo, difficile passo verso la libertà e il riconoscimento dei propri diritti, deve partire da ciascuna. Le istituzioni poi, faranno il resto…
Raffaella Imbrìaco